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Ricorrenza del: 14/06/2010
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A PESCARA E' NATA UNA STELLA
PESCARA In panchina è nata una stella. Tra un po’, asciugate le lacrime e smaltita l’emozione del momento, sfumata la retorica del profeta in patria, resterà una realtà: Eusebio Di Francesco ha dimostrato di essere bravo davvero. C’è moltissimo di suo in questa promozione. Ha cambiato volto al Pescara, ha portato avanti una rivoluzione soft, senza stravolgimenti. Ha lavorato su tanti fronti (atletico, tattico, tecnico, psicologico) ha saputo gestire un gruppo non facile. Ha saputo vincere le diffidenze iniziali e soprattutto ha mostrato una qualità che è solo dei grandi allenatori: ha saputo decidere. Senza paura di andare ad alterare le gerarchie, scegliendo con chiarezza e mettendoci la faccia. «Oggi si realizza un sogno - dice con gli occhi ancora lucidi e col filo di voce che gli resta - . So che è il momento dei ringraziamenti, e non vorrei dimenticare nessuno. Dai miei genitori al mio compare Giulio, alla società che ha avuto il coraggio di scommettere su un tecnico giovane in un momento difficile. A un gruppo di giocatori fantastico. A questi tifosi che mi hanno regalato un’emozione indescrivibile, al mio staff. A Daniele Delli Carri che mi ha spinto a fare l’allenatore. Alla mia città». Difficile spezzare il filo dell’emozione. I discorsi sono brandelli di frasi colte qua e la: «Di questo giorno mi resteranno alcune immagini, alcuni flash, scolpiti nella memoria. La prima: lo spettacolo dell’Adriatico stracolmo. Ho pensato: qui non possiamo fallire. Non può succederci niente di male in uno stadio così. Un ambiente fantastico. Il secondo: il silenzio che c’era in spogliatoio prima della gara. Poche parole. Ai ragazzi ho detto solo che sono orgoglioso di aver allenato un gruppo così. Sono stati davvero bravi, mi hanno dato la massima disponibilità. E guardate che questa è una squadra forte, che ha la possibilità di fare bene anche in B». Adesso, a promozione ottenuta, può anche permettersi di dire cos’era che non funzionava nella squadra ereditata alla vigilia del derby col Lanciano: «La mentalità. Era una squadra che si sentiva forte e probabilmente doveva imparare a sacrificarsi di più. Nel calcio moderno se non corri non vinci in nessuna categoria. Guardate quanto si sacrificavano gli attaccanti dell’Inter, e non a caso hanno vinto tutto... Poi ho cercato di fare sempre scelte oneste e credo che i ragazzi lo abbiano recepito. E quando ho messo dentro Inglese, lasciando fuori giocatori importanti, credo che quella decisione sia stata presa nella maniera giusta». E adesso? Già, adesso? «Io non sono Mourinho e quindi credo proprio che il mio futuro sarà qui. Nei prossimi giorni parlerò con i dirigenti ma direi che il cammino è già tracciato». Poi, finito il rito degli abbracci, corre a casa del padre, per un attimo da vivere lontano dai riflettori. Intanto il telefono non smette di suonare. Tra le chiamate, quella di Giovanni galeone che, tanti anni dopo, ha tutta l’aria di un passaggio di consegne. fonte il messaggero 14 giugno 2010 |