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Ricorrenza del: 10/11/2006
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JUVENTUS - PESCARA: GOL POLEMICHE E SORPRESE
Il calcio profumava di mito e non era stato ancora modificato geneticamente dalla tivvù. Era la fine degli anni ’70, periodo passato alla storia per il piombo, inteso come proiettili, dei terroristi rossi e neri. Pescara, reduce da uno straordinario boom demografico, edilizio ed economico, trovò il modo di legittimarsi nello sport più popolare d’Italia, balzando quasi senza rendersene conto dall’umiliante quarta serie alla A. La sbornia collettiva fu talmente forte che neppure le sconfitte, giunte a grappoli, riuscirono ad abbassare la soglia dell’entusiasmo per la partecipazione al massimo campionato. La sfida con la Juventus, malgrado fosse impari come nessun’altra, diede a Pescara forse prima ancora che al Pescara uno status mai raggiunto in precedenza. Essere nella prima classe, anche se in ultima fila, concedeva il diritto di sentirsi qualcuno. Probabilmente, ancora oggi è così. L’arrivo della Juventus, Vecchia Signora un po’ snob e già chiacchierata, ma con centinaia di migliaia di spasimanti in Abruzzo, mandò in fibrillazione mezza regione. La domenica della partita, all’Adriatico ci fu uno spettacolare colpo d’occhio. Alcune persone, malgrado avessero pagato il biglietto dopo una lunga fila al botteghino, per vedere meglio i giocatori bianconeri si arrampicarono sui piloni che sorreggono i fari e, quando segnarono Bettega, Fanna e Nobili, rischiarono di andarsene a testa in giù. Fino a poco tempo fa, in un bar di Porta Nuova ha fatto bella mostra una gigantesca fotografia di Zucchini e Furino, i capitani, che si stringevano la mano a centrocampo prima del fischio d’inizio. I detrattori ebbero subito un argomento da utilizzare come fosse uno spadone. La rete della vittoria juventina, siglata da Fanna, venne contestata a lungo perché Bettega si trovava sulla linea di porta, anche se alcuni sostennero che stesse, addirittura, dentro la porta. Fuorigioco sì. Fuorigioco no. La discussione andò avanti per almeno un biennio perché prendersela con Trapattoni e Boniperti o difenderli è sempre meglio che discutere di una vittoria a Trani. Zoff e Gentile, Cuccureddu e Tardelli, Bettega e Causio. Se oggi questi nomi riempiono la bocca, figuriamoci nel campionato 1977-78. E figuriamoci come si arrabbiò Repetto, nel girone di ritorno, vedendo una sua bellissima azione, conclusa con un gol di Grop, vanificata da un fuorigioco di Bertarelli, che era a terra insieme a Spinosi, visto solo dall’arbitro. Sfida impari, si diceva. Le forze erano talmente diverse che per la rivincita bisognò aspettare dieci anni. Ma il momento più esaltante dal punto di vista pescarese, arrivò nella primavera del 1993. Il palcoscenico fu di nuovo l’Adriatico. La Juventus, forte della Coppa Uefa appena conquistata a spese della Fiorentina, pensò di invitare i biancazzurri, già condannati alla retrocessione in B, alla propria festa europea e si accorse troppo tardi di essere destinata a fare la fine della torta. Uno, due, tre, quattro e cinque. Cinque volte gol nella porta di Peruzzi: 5-1 per il Pescara. Incredibile. Vero. E ci fu pure la beffa: la rete che sbloccò il risultato venne firmata da Ravanelli, bombarolo juventino destinato a farsi strada. La prima goleada del Pescara contro la Juventus è anche l’unica. A sottolineare l’eccezionalità dell’evento ci sono anche le carriere dei tecnici che si fronteggiarono: Trapattoni arrivò fino alla nazionale, mentre Zucchini da lì a poco cominciò a trovare tutte le porte chiuse e ora coltiva la passione tra i dilettanti. Sfidare la Juventus è sempre un onore. Peccato che si corra sempre il rischio di tornare suonati. A volte nel senso più... materiale dell’espressione. Il terzino Marino Lombardo, approdato in biancazzurro nel 1979-80, dopo alcune stagioni nel Torino di cui andava fiero, ebbe qualcosa da dire a Causio, il Barone. E questi, nel corso della partita del Comunale, gli rifilò un destro niente male. Essendo Causio e trattandosi della Juventus non arrivò l’attesa maxi squalifica. Dato che a quei tempi non c’era la prova tv e faceva testo solo il referto arbitrale, ecco che la sudditanza psicologica degli arbitri non era una leggenda da stadio. Ma questo episodio rappresenta solo il prologo della vicenda. Nel ritorno, un Causio senza giudizio rifilò una manata sulla faccia di Marino proprio davanti all’arbitro, che si dimostrò più cieco di una talpa e se ne infischiò delle proteste dei biancazzurri, destinati a perdere, come all’andata, e alla retrocessione tra i cadetti. Se si parla della Juventus, da questi parti viene subito in mente il nome di Ian Rush, centravanti gallese di nascita e marziano di estrazione calcistica. Uno che poteva fare gol solo contro una difesa-non-difesa. Quella dello spensierato quanto spettacolare Pescara di Giovanni Galeone, per intenderci. Tra Coppa Italia e campionato, se ne contarono sette. Quattro in una sola circostanza, all’Adriatico, nella gara-due degli ottavi di Coppa. Di quelle che non potranno mai essere definite prodezze, si parlò a lungo. Anche perché Rush segnò un solo altro gol nella sua sciagurata esperienza italiana. Tra le reti rare, c’è anche quella di Zavarov. Un russo chiamato in Italia più per motivi commerciali, legati allo sbarco della Fiat nell’Unione Sovietica, che calcistici. Con un tiro da fuori, determinò l’uscita del Pescara dalla Coppa Italia 1989-90. I più forti di memoria ricordano quella partita anche per l’asfissiante marcatura di Alfieri su Schillaci, che in estate sarebbe diventato il capocannoniere del Mondiale italiano. La Juventus è sempre la Juventus, ma il Pescara, come si conviene a una gagliarda provinciale, di tanto in tanto, tra lo stupore generale, ha piazzato l’uppercut vincente. Junior e Pagano, nomi scritti con caratteri d’oro nella storia del club, strigliarono i torinesi nel 1987-88, riscattando così il 3-1 subìto all’andata e inaugurando una striscia positiva di tre partite. Dopo, infatti, ci furono il primo e unico pareggio in terra di Piemonte e un altro pareggio, ma da maledire, all’Adriatico. Il Pescara era obbligato a vincere per non retrocedere e la Juve non aveva più nulla da dire o da chiedere al campionato. Di conseguenza, i padroni di casa si impegnarono allo spasimo e gli ospiti fecero, appunto, gli ospiti. Ma il Pescara, che non aveva mai vinto nel girone di ritorno, era scoppiato. Così, di errore in errore, si arrivò alle battute finali della drammatica partita. Il biancazzurro Tita, brasiliano con i piedi di velluto e il carattere debole, si trovò di fronte alla porta e, invece, di piazzare la palla, caricò il più potente dei tiri. Ci sarebbe stato un incredibile boato, se piede e palla si fossero messi d’accordo. Invece, litigarono in corso d’opera e la delusione assalì i 25mila dell’Adriatico. Tacconi, estroso portiere bianconero, si girò verso la curva nord e allargò le braccia, quasi a dire: «E io che posso farci?».
tratto da Il Centro di Marco Camplone |