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Ricorrenza del: 07/10/2013
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MUORE GIANCARLO CADE' TECNICO DELLA PRIMA SERIE A
Guidò i biancazzurri che ottennero la prima storica promozione nella stagione 1976/77. È morto il 7 ottobre 2013 nella sua casa di Zanica (Bergamo)
È morto, nella sua abitazione di Zanica (Bergamo), Giancarlo Cadè, l'allenatore della prima promozione in serie A del Pescara. È stato sulla panchina biancazzurra dal 1976 al 1978. Classe 1930, Cadè è cresciuto nel vivaio dell'Atalanta e ha debuttato in serie A a 19 anni, nel 1948. Dopo due anni con la casacca della squadra della sua città, ha cercato fortuna a Catania per poi tornare a Bergamo, dove nelle quattro stagioni successiva ha disputato 59 partite con una parentesi a Cagliani, nel 1954. Poi Reggina e Mantova, con cui ha chiuso la sua carriera da calciatore nel 1960. Cadè aveva all'attivo anche una presenza con la maglia dell'Italia: era il 16 luglio 1952 quando a Tampere, nel match eliminatorio della XV Olimpiade, è sceso in campo con la Nazionale nel match vinto dagli azzurri per 8-0 contro gli Stati Uniti. Appese le scarpette al chiodo, l'ex centrocampista bergamasco ha dato il via alla sua carriera da allenatore che l'ha portato in giro: Reggio Emilia, Mantova, Verona, Varese, Pescara, Cesena, Palermo, Vicenza, Bologna, Campobasso, Ravenna. Senza dimenticare le esperienze vissute con l'Atalanta nella stagione 1975-'76 e con la Virescit Bergamo nel campionato 1989-'90. Era il lui il tecnico che guidava l'Hellas nel 1973, il campionato passato alla storia per la "fatal Verona" che è costata clamorosamente lo scudetto al Milan di Nereo Rocco.
tratto da il Centro del 10 ottobre 2013 Ieri mattina, nella sua abitazione di Zanica (Bergamo), è morto Giancarlo Cadè, 83 anni, l’allenatore della prima promozione in serie A del Pescara nella stagione 1976-1977.
di ANTONIO DE LEONARDIS
Al suo posto quell'anno sarebbe dovuto arrivare Giovanni Trapattoni. I dirigenti del Pescara avevano raggiunto l'accordo con quel giovane allenatore che allora faceva le sue prime esperienze con il Milan proprio a Bergamo alla vigilia di una gara tra i biancazzurri di Tom Rosati e l'Atalanta. Una telefonata di Giampiero Boniperti dirottò pochi giorni dopo il Trap a Torino, fu senz'altro una fortuna per la Juve, che aprì da lì un lungo ciclo di trionfi, ma pure per il Pescara visto che quel no aprì la strada alla stagione più bella, nel segno appunto di Giancarlo Cadè.
L'anno degli spareggi, dei quarantamila di Bologna, di una intera regione impazzita per la prima serie A e per quella squadra che giocava un calcio mai visto prima all'Adriatico. Piloni, Motta, Mosti o Santucci, Zucchini, Andreuzza, Galbiati, La Rosa o Di Michele, Repetto, Orazi, Nobili e Prunecchi. Uno spettacolo, dalla passione e l'orgoglio ritrovati con Tom Rosati per le due fantastiche promozioni dalla quarta serie alla B, all'apoteosi che nessuno avrebbe nemmeno osato immaginare. Cadè era proprio sulla panchina dell'Atalanta quel giorno dell'accordo col Trap.
Vinse la partita con uno scatenato Antonio Cabrini, allora nemmeno ventenne, certo non fu un ripiego per il Pescara visto che aveva alle spalle una già solida carriera, con due promozioni, esperienze positive in serie A e un doppio sgambetto che aveva fatto perdere scudetti all'ultima giornata prima all'Inter del mago Herrera (la papera di Sarti e il gol di Di Giacomo a Mantova) e poi al Milan di Nereo Rocco e Rivera (la fatal Verona del 1973). Un allenatore che prometteva calcio offensivo, che puntava sulla zona, all'epoca quasi un'eresia nella patria del catenaccio.
Quell'estate del 1976, quando Cadè arrivò a Pescara, trovò un gruppo già solido, costruito con profitto da chi lo aveva preceduto, ma certo è che ci mise subito parecchio di suo per trasformarlo in una macchina in grado di esaltare le qualità dei singoli in un collettivo affidabile e ben organizzato. La prima intuizione felice fu quella di piazzare al centro del gioco Angelo Orazi, ex attaccante scuola Roma che, dopo una serie di infortuni, sembrava aver perso per strada talento e ambizioni. La risposta arrivata dal campo fu subito esaltante e convincente.
Orazi era dovunque, copriva la difesa e faceva ripartire l'attacco in coppia con Giorgio Repetto (oggi direttore generale del Pescara), motorino instancabile e pure lui con i piedi buoni visti i trascorsi da attaccante, la spinta in più la garantiva Vincenzo Zucchini, incontenibile quando partiva in progressione. Lì davanti però, almeno in avvio, mancava ancora un pizzico di estro e di talento e qui la bravura di Cadè fu quella di rivedere le sue scelte di partenza, restituendo in fretta la maglia numero 10 a Bruno Nobili, inizialmente accantonato per far posto a un centrocampista che garantisse soprattutto quantità. La gara con l'Ascoli decisa dai gol di Nobili e Zucchini segnò la prima svolta, un'altra intuizione del tecnico garantì l'ulteriore salto di qualità. Capitò quando Salvatore Di Somma, il libero titolare, finì in ospedale per operarsi di appendicite.
Al suo posto Giancarlo Cadè dirottò Roberto Galbiati, mediano arrrivato dalla Primavera dell'Inter; la squadra scoprì così di avere un elemento in più su cui contare per far gioco a sostegno del centrocampo. Arrivavano anche i gol di Prunecchi, oggetto misterioso della stagione precedente; faceva il suo in attacco La Rosa; dava maggiore fisicità in avanti Bartolomeo Di Michele, giovane rinforzo prelevato dal Giulianova; era costante anche la spinta che garantivano a turno Mosti e Santucci; all'occorrenza erano preziose le prodezze di Massimo Piloni tra i pali.
Uno spettacolo, appunto, che, nel giro di poco più di un mese, tra dicembre e gennaio, segnò la fantastica storia di quel campionato. Sei vittorie di fila, significativa quella di Rimini contro Helenio Herrera, esaltante e decisiva quella di Vicenza con il gol in contropiede di Repetto.
Ora ci credevano tutti, l'ultimo atto a Ferrara contro la Spal di Suarez, in una sfida che portava la squadra di casa in serie C e il Pescara agli spareggi che valevano la A con il Cagliari e l'Atalanta.
Bastarono due pareggi in bianco, il primo a Terni tra le polemiche per qualche calcione di troppo dei cagliaritani e le troppe sviste dell'arbitro Menicucci, il secondo a Bologna, per una festa che portava in A Pescara e Atalanta in uno stadio tutto biancoazzurro.
La prima volta in A, probabilmente anche la soddisfazione più bella per lo stesso Cadè che, non a caso, volle confermare in blocco tutti i protagonisti di quella impresa.
Partì il solo Di Michele, in prestito al Rimini, al posto dell'attaccante Bertuzzo, l'unico vero rinforzo richiesto dal tecnico, arrivarono Grop, Bertarelli e, dalla Primavera dell'Inter, il giovane centrocampista Gianni De Biasi (oggi commissario tecnico dell’Albania).
Decisamente poco per garantire un impatto senza traumi con la nuova realtà. Cadè non rinunciò comunque alle sue idee e alle sue scelte; quel Pescara continuò a giocare a viso aperto e anche a dare spettacolo pure in serie A. Andava spesso in vantaggio, ma difficilmente riusciva ad evitare la rimonta degli avversari. Gli scippò una partita all'Adriatico la Juventus, con Dino Zoff a fare miracoli sulle punizioni di Bruno Nobili e Roberto Bettega a far gol in fuorigioco; non servì nemmeno l'acuto di Paolo Ferro, il baby della Primavera che, all'esordio in prima squadra, firmò il successo con la Lazio.
Alla fine appena 17 punti e la retrocessione in B, ma anche tanti applausi per una squadra che era comunque riuscita a farsi apprezzare per gioco e impegno. In diecimila, a fine campionato, firmarono perché Giancarlo Cadè venisse confermato, ma la società biancazzurra scelse un'altra strada. Poteva nascere un'altra storia? Chissà. Certo è che quel signore che amava la musica sinfonica e organizzava concerti eccezionali con la sua squadra in mezzo al campo resterà per sempre nella storia del Pescara e nel cuore di chi ha vissuto le emozioni di quei fantastici anni.
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