dal GUERIN SPORTIVO, a. LXXVII, n. 26, 28/6-4/7/1989 Il partito di Galeone di VLADIMIRO CAMINITI E' tempo di programmare le ferie, caro Marino. Strisce sottilissime di mare pulito attendono i bagnanti. Il sole sfolgora e il cielo è un incanto. Io ti racconto oggi una storia di ordinaria follia, la quale riguarda un po' tutti nel precipizio dei valori sportivi che il calcio rappresenta. La storia parte da lontano, riguarda un cronista col baffo animoso, Totò De Leonardis, e un dirigente delle leve recenti, non so se animoso o animella, gli uomini si giudicano dai fatti, la vita è un crogiuolo di interessi che, nel calcio, ormai regolano tutto; e la tribuna (stampa) dell'Adriatico scatena la sua parte di tifo tribale. Ma Totò De Leonardis non è tribale. Ha un'occhiata malinconica, è magrolino, padre di tre figli, fa il giornalista con scrupolo severo. Gli è capitato di segnalarsi subito, nell'era del Pescara in A, per le sue cronache obiettive, appassionate e informate. Il presidente del Pescara ha pure lui il baffo, ma scivoloso; allo stadio Adriatico si può imbattere, seguito da un omone distinto da variopinta cravatta. Sono Scibilia e Galigani, unici, inconfondibili, Vittorio Galigani ha sostituito Franco Manni. Pescara è un'alluvione di cementi sotto il cielo. I traffici donano poche oasi di serenità. Anche la capitale dell'Abruzzo è un garage all'aperto. Il mare riga il cemento delle case e il clima è volubile, caldo umido, con zaffate di aria fresca in arrivo da lontano, con sentori e profumi esotici. Nascono fiori originali sulle rare spianate di verde della periferia. Il lungomare è arricchito dai ristoranti più belli d'Italia. Ci sarai stato anche tu, Marino. Con orgoglio, il suddtto Galigani mi ha portato nella sua casa. Dalla terrazza si ammira uno dei paesaggi più strabilianti della terra, Camillo Sbarbaro e Umberto Saba che versi ci avrebbero ricamato! In marzo, il Messaggero nella pagina pescarese annunciava il licenziamento di Franco Manni con Vittorio Galigani, in arrivo da Taranto. Il presidente Scibilia convoca una conferenza stampa e nega tutto, coi toni che usa, toni minacciosi: «A Pescara si fa quello che dico io, e la stampa deve scrivere solo quello che voglio io». E' accontentato, la smentita c'è. De Leonardis aveva anche anticipato il nome dell'erede desiganato di Galeone, in Rino Marchesi. Ciascuno stia nel suo brodo, la vita è bella, Marino. Il calcio è bello, il prato uno scrigno verde in mezzo ai cementi, alle privazioni, alle maledizioni della vita. Ma questo calcio ormai è un girotondo di miliardi, le cariche che contano, una volta rivestite da uomini dal portafoglio gonfio come il cuore, oggi finiscono nelle mani più avventizie. Fanno i presidenti tutti. Hanno tutti la possibilità di occupare il cadreghino che pochissimi ormai investono di personalità, cioè di eleganza, cultura, buone maniere, civismo. Penso ai presidenti del passato, da Leonardo Masseroni a Ivanoe Fraizzoli, da Luigi Carraro a Franco Carraro, da Vittore Catella a Giampiero Boniperti, da Raimondo Lanza di Trabia a Gianni Agnelli, e capisco, capisco, di essere un evaso, il solito (insopportabile) idealista che vorrebbe nel calcio i migliori da Ferruccio Novo a Sergio Rossi a Pier Cesare Baretti. Pianelli Lucio Orfeo, con la sua guancia da luna svenata, era un gran bel presidente. Di Borsano non so. L'aspetto per giudicarlo.
Ed ecco questo Scibilia, che si porta addosso il baffo pesante come un macigno, e al mio registratore fa un'autodifesa che riassumo: «A Pescara nessuno ha potuto conoscermi. Nessun presidente di serie A ha fatto tanti sport come me.Cambierò tutto nel Pescara. E' inconcepibile avere fatto per due anni lo zimbello degli altri». Pescara è divisa, la parte sana del tifo aspirerebbe ad un presidente più rappresentativo. C'è nostalgia di Marinelli e di quelli della sua cordata. Si vorrebbe dal presidente di una società di A quel certo carisma. Ed invece tutti gli spazi sono occupati dall'uomo nuovo della panchin: Giovanni Galeone; e sono gli spazi in cui galoppa la prosa del bravo cronista locale, perché di Giovanni Galeone egli diventa amico, amche fin troppo tenero con lui, scriverà da Milano Gianni Mura. Senza affrontare il problema, che non riguarda il collega De Leonardis, ma i comportamenti del dirigente massimo dellasocietà. E' un delitto forse «tenere» per Galeone? Galeone ha forse inguaiato la squadra locale? Non l'ha arricchita di tossine fantasiose, non ha fatto la squadra all'onor del mondo? Non è stato lui, Galeone, l'araldo del calcio italiano (intanto vissuto in prima persona da Gigi Maifredi nella città dotta), un calcio di apertura, un calcio all'attacco nel paesaggio calcistico delle trincee, della omertà giornalistica, non è stato lui, Galeone, a far vivere a Pescara, ed al Pescara, le giornate più radiose della sua storia? Dunque, Totò De Leonardis in Galeone ha sostenuto il suo lavoro, le sue idee, i suoi principi, e difendendo Galeone difende la cultura del calcio, il progresso del calcio. Che nell'ultima stagione tutto sia precipitato si spiega. Dopo la vittoria di Roma, il Pescara-Gruppo di Galeone si è sfaldato. Non è bastato il pungolo di un caporione naturale, Leo Junior, il Masaniello del Brasil, a tenerli insieme. Lo hanno lasciato solo perfino Tita e Edmar, ammanicati col presidente.
Il fatto gravissimo è accaduto sotto i miei occhi. Il dirigente Galigani annunziava per il match casalingo contro la Juventus uno striscione «contro» De Leonardis. Commissionato ai tifosi ultras da chi? Dalla società. Ora si prezzolano i tifosi per fare la guerra ai giornalisti onesti, siamo giunti a questo, Marino. Ed io penso a quando partii dall'isola bedda per una storia simile. L'allora factotum della società rosanero, Totò Vilardo, aveva licenziato con la squadra al terzo posto in classifica il campione del mondo (ed olimpico) Pierone Rava. Io lo avevo difeso su nove colonne nella pagina sportiva di Sicilia del popolo. Per me, ne erano scaturite minacce anche di anonimi, ed una campagna diffamatoria. Mi sarebbe stato offerto l'ufficio stampa, che io lasciai ad un collega dal temperamento molto più incline alla pace...Da allora ad oggi sono passati quarant'anni. Il Pescara, subentrato proprio al Palermo dopo la cancellazione del sodalizio isolano, riporta il nostro calcio all'età della pietra.
Mi diceva Piero Dardanello che io da «pompiere» mi sono trasformato in «rivoluzionario». Il campionato europeo voluto da Berlusconi è la fine del nostro calcio domestico. Assai più di una scuola per tecnici, urge una scuola per dirigenti. Nascano dirigenti dediti non solo all'affare, all'intimidazione della stampa con le buone o le cattive, ma al calcio come amore. E i giornalisti sportivi vengano anche dai libri, come mi scriveva Roghi.
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