Antonio Valentin Angelillo nasce a Buenos Aires il 5 settembre 1937. E' stato un calciatore e allenatore di calcio. Nella straodinaria carriera di questo personaggio argentino, oriundo italiano, figura anche la Pescara Calcio che ha giudato in due stagioni tra il 1978 e il 1980.
In Sudamerica: gli esordi e la Nazionale argentina Mezzala assai rapida e prolifica, Angelillo cresce calcisticamente nell'Arsenal de Sarandí, dove debutta nel 1952. Tre anni dopo compie il salto di qualità, passando al Racing Club de Avellaneda. Nel 1956 viene acquistato dal Boca Juniors (con cui totalizzerà 34 presenze e 16 gol) e nello stesso anno (il 15 agosto contro il Paraguay, vittoria per 1-0 dell'Argentina) debutta con la Nazionale argentina. La prima grande affermazione avviene nella Copa América 1957, quando nell'edizione in Perù segna 8 volte, guidando i biancocelesti al trionfo, ma non solo in virtù dei goal (Maschio ne segnerà 9 e sarà il capocannoniere del torneo insieme all'uruguaiano Ambrois - mentre il terzo "angelo" argentino, Sivori, ne farà 3), quanto perché in ogni partita egli copre tutte le fasce del campo: accorre in aiuto della difesa, costruisce il gioco, fa gli assist per Maschio e, infine, segna. Non a caso la stampa sudamericana lo proclama "el nuevo Di Stefano", che nel frattempo si trovava al Real e giocava pure per la nazionale spagnola. A proposito della Copa del 1957, bisogna sapere che in quella edizione l'Argentina segnò 25 reti in 6 partite (8-2 alla Colombia, 4-0 all'Uruguay, 6-2 al Cile, 3-0 al Brasile) e tutti i cronisti di calcio dell'epoca davano per scontata la vittoria mondiale dei biancocelesti al torneo in Svezia, dove invece lo squadrone argentino non è più tale, perché è privo dei tre "angeli" approdati in Italia, e viene eliminato al primo turno dove perde 1-3 con la Germania Ovest e addirittura 1-6 con la Cecoslovacchia!
In Italia: l'Inter e la Nazionale italiana L'exploit in Perù fa di Angelillo oggetto del desiderio di varie squadre europee: la spunta l'Inter, che già nell'estate 1957 lo porta a Milano. Angelillo, in un'intervista alla Gazzetta dello sport, nel 2005: «Sono nato nel quartiere del Parque Patricio, vicino al campo dell' Huracán, a Buenos Aires. Figlio unico di Soledad e Antonio, un "carnicero", un macellaio. Era la città di Borges e di Gardel, il dio del tango. Immensa. Viva. Bellissima. Lì il calcio era arte, secondo solo al tango. C' erano Di Stefano nel River e Pedernera, Martini e Pontoni nel San Lorenzo de Almagro. Assomigliavo molto a Pontoni, centravanti del San Lorenzo. Tecnica e movimento. Studiavo e suonavo. Per quattro anni ho suonato il bandoneón, una fisarmonica per il tango, che si teneva sulle ginocchia. Ma quando El Gordo Diaz mi vide, incominciai a giocare nell' Arsenal. A 17 anni ho debuttato in A in Huracàn-Racing. Presto ho esordito in nazionale. Il trio d' attacco era Maschio-Angelillo-Sivori. Quando vincemmo il Sudamericano di Lima del '57, siamo diventati "los angeles da la cara sucia", gli Angeli dalla faccia sporca. Maschio segnò 9 gol, io 8. Sivori ne realizzò pochi: lui si divertiva. C' era anche il Brasile che l' anno dopo avrebbe vinto il titolo mondiale». Nel corso della prima stagione interista, Angelillo trova come compagni d'attacco il vecchio "Veleno" Lorenzi, che gioca l'ultima sua stagione; il non più giovane Skoglund (che nei Mondiali del '58 arriverà in finale con la nazionale svedese, sconfitta dal Brasile di Garrincha, Didi e il ragazzino Pelé) e la mezzala Massei, oriundo argentino pure lui. Segna 16 reti. La classifica cannonieri la vince il gallese John Charles (Juventus) con 28 goal, seguono il sudafricano oriundo Eddie Firmani (23) e l'ex compagno d'attacco in Argentina, Omar Sivori (22). La stagione successiva 1958-59 è il suo capolavoro: realizza ben 33 goal (con un paio di cinquine), mentre il suo nuovo compagno d'attacco, il summenzionato Firmani, ne segna 18. Per Angelillo - 33 reti in 33 presenze in Serie A - è record, e rimane tale per sempre nei tornei a 18 squadre. Nel 1960, essendo oriundo, Angelillo è chiamato in Nazionale. In Argentina vige la regola secondo cui chi gioca all'estero non puo' vestire la casacca la casacca biancoceleste. Analoga sorte tocca agli altri due estri argentini del nostro campionato dell'epoca, Humberto Maschio e Omar Sivori ed e' già toccato a Pedro Manfredini, Francisco Lojacono e la "saeta" Alfredo Di Stefano. Ma per Angelillo c'e' un ulteriore problema: in patria e' considerato renitente alla leva! (Sicche' per ventanni non pote' rimettere piede in Argentina).
La FIGC, dunque, non si lascia sfuggire l'occasione e decide di inserirlo nel giro della Nazionale, grazie anche alle sue origini italiane. Tuttavia le presenze di Angelillo con la Nazionale azzurra non si limiteranno che a 2: dopo l'esordio con sconfitta nell'amichevole contro l'Austria (1-2 a Napoli, il 10 dicembre 1960), Angelillo giocherà solo un altro match, il 4 novembre 1961 a Torino, nella sonante vittoria (6-0) contro Israele, partita nella quale realizza, al 69', il suo primo e unico goal in azzurro. Da segnalare quanto segue: l'esordio in nazionale di Angelillo coincide coll'ultima partita in azzurro del più grande calciatore italiano degli anni Cinquanta, Giampiero Boniperti (autore del goal), nonché con la "prima volta" di due immensi difensori: Sandro Salvadore e Giovanni Trapattoni. Per quanto concerne la seconda e ultima partita azzurra di Antonio Valentin, in quell'occasione egli si ritrovò a fianco del compagno di nazionale argentina con cui vinse la Copa sudamericana: Omar Sivori. Quest'ultimo match era valevole per le qualificazioni ai Mondiali di Cile 1962, per i quali però Angelillo non verrà convocato al pari di un altro bravo oriundo ricordato più su, il romanista Lojacono, e al contrario dei summenzionati Maschio e Sivori e degli italo-brasiliani Altafini e Sormani. In compenso, Agelillo disputerà qualche incontro per la Nazionale di Lega di cui si occupa Giampiero Boniperti, da poco ritiratosi dal calcio attivo. La Nazionale di Lega è composta dai migliori stranieri del campionato, e da quegli ottimi calciatori italiani esclusi dalla Nazionale A: per esempio in porta ci sarà Enrico Albertosi, chiuso in nazionale da Buffon e Mattrel e poi da Negri e Sarti. Negli anni Ottanta in uno degli ultimi match di questa strana nazionale ci giocò pure Maradona. Va meglio in campionato, dove pur non vincendo nulla con l'Inter, Angelillo si distingue come un prolifico attaccante: presso i nerazzurri resta 4 stagioni, disputando 127 partite e realizzando ben 77 goal. Nel 1961 però il rapporto con il club di Angelo Moratti si deteriora: l'allenatore Helenio Herrera accusa Angelillo di «dolce vita». In effetti, la resa sul campo è al di sotto delle attese e delle sue oggettive possibilità, e Angelillo passa qualche nottata di troppo insieme ad una piacente signora, nota ballerina di night. L'attaccante argentino viene venduto alla Roma, dove peraltro, a parte un inizio molto stentato, giochera' quattro formidabili stagioni da centrocampista e regista. Ma la sua cessione ha un ben altro risvolto: non è dovuta al fatto che Angelillo venga ritenuto "finito", bensì perché l'allenatore dell'Inter, Helenio Herrera, preferisce non avere a che fare con giocatori dal carattere forte e dal carisma incontrastabile. Non a caso ha continui problemi con gente come Armando Picchi e Mariolino Corso, calciatori di cui vorrebbe sbarazzarsi se non fossero, il primo pilastro della difesa, e il secondo il "cocco" di Casa Moratti. Che, dunque, egli sapesse benissimo che Angelillo prima o poi sarebbe potuto tornare ad essere il campione del famoso trio degli "Angeli dalla faccia sporca", lo dimostra proprio la clausola contenuta nel contratto che la Roma sottoscrisse per acquistarlo, clausola che neppure Angelillo conosceva, che impegnava la Roma a non vendere Angelillo né al Milan né alla Juventus.
Roma, Milan e la fine della carriera Antonio Valentin Angelillo con la maglia della RomaNel club capitolino resta fino alla stagione 1964-1965, totalizzando 27 goal in 106 presenze e vincendo la Coppa delle Fiere 1960-61 a la Coppa Italia 1963-64. Per la squadra capitolina, pero', dove trova Pedro Manfredini, pochi anni prima in Argentina considerato il suo erede; nella Roma, dicevamo, Angelillo arretra a centrocampo, divenendone il regista, disputando, stando agli scritti degli osservatori piu' attenti (Brera in primo luogo) tre campionati a livelli mondiali. Nell'estate 1965 Angelillo si trasferisce al Milan di Nils Liedholm. Coi rossoneri disputa una mediocre stagione (11 presenze e 1 rete), anche perché mal visto dai tifosi rossoneri, per la sua lunga militanza con la maglia dei cugini dell'Inter. Nella stagione 1966-1967 quindi va al Lecco neopromosso in Serie A, nelle cui file gioca il giovane talento brasiliano Sergio Clerici: in questa stagione ottiene 12 presenze segnando una sola rete, con la squadra che retrocede in serie B. Nell'estate del 1967, nel tentativo di rilanciarsi in una grande piazza, si trasferisce in prova al Napoli (disputando una tournée della squadra azzurra in Colombia, Perù, Bolivia e Venezuela), riformando per qualche partita la famosa coppia con l'amico Omar Sivori. Quest'ultimo è artefice dell'arrivo di Angelillo in maglia azzurra, e ne caldeggia l'acquisto definitivo alla dirigenza del Napoli, in cerca di calciatori dal glorioso passato a basso costo. Le appena sufficienti prestazioni nelle amichevoli in maglia azzurra e, soprattutto, l'infortunio gravissimo occorso al suo amico-sponsor Sivori proprio durante quella tournée faranno però saltare l'accordo con la società partenopea. Sfiduciato e senza squadra, Angelillo accetta di ritornare al Milan in cerca di un attaccante d'esperienza che giochi solo in caso d'emergenza. Sarà scudetto, e nonostante solo 3 presenze riuscirà anche a segnare 1 gol. Bisognoso di giocare, l'anno successivo va a giocare in serie B, chiudendo la carriera con la maglia del Genoa (22 presenze e 5 reti).
Allenatore La carriera da allenatore di Angelillo parte da una squadra dilettantistica, gli umbri del Santa Maria degli Angeli ad Assisi (PG). Allenerà poi Montevarchi, Chieti, Campobasso, Rimini, Brescia, Reggina e Pescara, prima di iniziare l'avventura con l'Arezzo in Serie C1. È la stagione 1981-82 quando Angelillo compie nella città toscana un autentico miracolo: vince la Coppa Italia di Serie C e soprattutto guida gli amaranto alla promozione in Serie B, riportando il club nel calcio che conta dopo 7 anni di purgatorio. Nel 1983-84 l'Arezzo sfiora addirittura il salto in Serie A, giungendo 5° a soli 5 punti dalla promozione. Ad Arezzo Angelillo resta fino alla stagione 1986-87, poi riprende la sua "peregrinazione" da allenatore: Avellino, Palermo, Mantova e i marocchini del Far Rabat saranno le sue successive squadre, prima di chiudere in Serie C2 con la Sassari Torres, chiamato a metà del campionato di C1 1990-'91, ed esonerato nel corso della stagione successiva. Rimasto fortemente legato ad Arezzo, Angelillo vive oggi nella città toscana, ma lavora anche come osservatore per l'Inter in Sudamerica. Tra le sue principali scoperte, due calciatori divenuti "pilastri" del club nerazzurro: l'argentino Javier Zanetti e il colombiano Iván Ramiro Córdoba.
Angelillo, il "signor record" Il suo primato di 33 gol nel campionato a 18 squadre resiste dal 1959. Lo stabilì nell'Inter prima dell'arrivo di Helenio Herrera con cui non andò d'accordo. Dopo le incomprensioni l'argentino passo alla Roma MILANO, 26 febbraio 2008 - Il suo record , 33 gol nel campionato a 18 squadre, resiste ancora dal 1959. Antonio Valentin Angelillo lo aveva stabilito nell’Inter prima che arrivasse Herrera. Poi le incomprensioni, il trasferimento alla Roma. Ecco perché Inter-Roma è la sua partita. IN ARGENTINA - "Io giocavo da mezzala - racconta Angelillo, che oggi vive ad Arezzo e fa l’osservatore per l’Inter. In Nazionale si ritrova con Maschio e Sivori, lui diventa centravanti eprchè molti attaccanti argentini sono già in Italia e l’allenatore Guillermo Stabile gli dà il numero nove. Stabile è stato il primo capocannoniere nella storia dei mondiali di calcio (8 reti nel 1930) In Italia giocherà nel Genoa e nel Napoli. Nasce il trio degli angeli della faccia sporca. "Fu un massaggiatore, che dopo un allenamento ci vide in panchina col volto infangato e ci disse: avete la 'cara sucia', la faccia sporca. Il soprannome nacque così". "Giocavo col numero nove, ma non me ne stavo fermo in area. Vincemmo la Coppa America nel 57, battendo 3-0 il Brasile nella partita decisiva". In quella manifestazione, che si disputava in Perù Angelillo segna 8 gol in sei partite. IN ITALIA - Il trio degli angeli arriva in Italia: Sivori alla Juve, Maschio al Bologna, Angelillo all’Inter. Angelillo ha ventenni. Arriva a Milano con baffetti e brillantina. "L’impatto fu duro. Ricordo una Milano con poche auto, con molta più nebbia e neve di adesso. Con me c’erano i miei genitori, il problema più grosso era la lingua. Per questo deciso di abitare in una pensione con Fongaro e Masiero, miei compagni di squadra. Imparai l’italiano e diventò tutto più facile". Il primo anno fa sedici gol. IL RECORD - Stagione 1958-59, Angelillo stabilisce il primato ancora imbattuto dei 33 gol. Ne segna cinque in una sola partita alla Spal. "Non dovevo nemmeno giocare. Mi faceva male il ginocchio. Il medico mi disse che potevo farcela e andai in campo. Per cinque partite non ho segnato: pali, traverse, Era diventato un incubo. Nell’ultima giornata c’era la Lazio a San Siro. Carosi non mi mollava un attimo. Ma perché fai così, gli chiesi. E mi disse che gli avevano promesso un milione se non mi avesse fatto segnare. Non ho mai saputo chi è stato. Poi i due gol a Lovati: uno su punizione, l’altro su un incertezza difensiva. È record, anche se per quei 33 gol non ho mai preso né un premio né una lira". ROTTURA CON HERRERA - L’anno successivo Angelillo non si ripete, i gol sono 11. Nel 1960-61 sulla panchina dell’Inter arriva Herrera e per l’angelo dalla faccia sporca sono guai. È arcinota la storia che Angelillo non era più quello di una volta per una relazione con una ballerina di night, Attilia Tironi, in arte Ilya Lopez. "Per l’amor di Dio rispetto a quello che succede oggi, ero un santo. E poi basta: sono sposato da 37 anni, ho due figli". Helenio Herrera scriverà nella sua autobiografia: "Ero convinto che il grande Angelillo sarebbe tornato quello di una volta. Più che l’amicizia di Angelillo mi interessano i suoi gol". Ma “una volta” è appena due anni prima. Di Angelillo scrive Gianni Brera nel libro Il mestiere di calciatore "Giocava in difesa, a centrocampo e in attacco. Segnava e costruiva gioco. A quel ritmo qualsiasi fenomeno avrebbe finito per uccidersi". ADDIO INTER - "La verità è che io in quella stagione giocai solo 15 partite e segnai 8 gol. E l’Inter era prima in classifica, sono uscito e non lo è stata più", ricorda Angelillo. Herrera convince Moratti a sbarazzarsi di Angelillo, di accettare i 270 milioni della Roma (lo voleva anche il Boca Junior per 200). Angelillo saluta i tifosi dell’Inter con un articolo scritto da lui sul Calcio Illustrato. "Ad Herrera stringo la mano: è un grande preparatore". Angelillo conferma 47 anni dopo: "Sì come preparatore era grande, ma in panchina non capiva niente. La squadra la mettevano in campo Picchi, Suarez e Corso. Non dimentichiamoci che in società c’era Allodi. Herrera voleva pure liquidare Jair, ma il Genoa non lo volle". LA ROMA - "Sono state quattro stagioni indimenticabili. Con me la Roma ha vinto una Coppa Italia e una coppa delle Fiere. Ricordo il silenzio di una mattina, non sentivo il rumore delle auto. Aveva nevicato, la gente sciava come fosse a Cortina. Roma di allora era una città bellissima, vivibile". Per Angelillo è anche una rivincita. "Nel ritiro di Follonica, andavo con Carniglia in spiaggia alle 5, lui in bici e io a correre sulla sabbia. Poi alle 9 mi allenavo regolarmente con i compagni della Roma". Sono gli anni della dolce vita. "Eppure non si è mai parlato di me per episodi nottuni. Non è che fossi sparito". NE' MONDIALI NE’ JUVE - Angelillo è oriundo, il nonno è originario di Rapone, in provincia di Potenza. Può giocare in Nazionale, debutta in azzurro, ma ai mondiali del 62 in Cile non viene convocato: Sivori, Maschio, Altafini e Sormani sì, Angelillo no. "La Roma non aveva peso politico". Ma nello stesso giorno in cui gli azzurri partono per il Cile, Angelillo disputa a Torino un’amichevole con l’Ungheria vestendo la maglia della Juventus. "Gioco col numero 10 al posto di Sivori, la sera l’avvocato Agnelli mi invita a cena: 'Angelillo, lei è da oggi un calciatore della Juventus'. E invece l’indomani, Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti che sarebbe poi diventato presidente della Roma, mi dice che alla Juve non posso andare. Quando l’Inter mi aveva ceduto alla Roma aveva incluso nel contratto una clausola: non potevo essere ceduto a Juve, Milan e Fiorentina. Ma come mi consideravano finito e mettono questa clausola? Se avessi saputo, dico ad Evangelisti, non avrei firmato per la Roma". IL GIRO D’ITALIA - Angelillo non si ferma più. Chiude la carriera di calciatore al Genoa non senza essere tornato a Milano, sponda Milan dove nel 68 vince anche uno scudetto giocando però solo tre partite. Da allenatore va dove lo chiamano, senza distinzione di categoria. "Ho sempre corso da solo, ma non ho rifiutato nulla. Allora si diceva che un allenatore doveva far gavetta, magari ne faceva tanta e poi diventava vecchio". La prima panchina è con i dilettanti umbri a Santa Maria degli Angeli, ad Assisi. Lì conosce Bianca, veneta, che sarebbe diventata sua moglie. "Ho accettato anche di andare al Far Rabat in Marocco, dove ho fatto anche il ct della Nazionale, in Cile. I ricordi belli sono lo spareggio per la A vinto col Pescara sul Monza, la promozione dell’Arezzo in B". Di calciatori ne ha avuti tanti: "A Brescia ho lanciato Altobelli e Beccalossi, ad Avellino ho rigenerato Diaz e cresciuto Di Napoli". Da osservatore ha consigliato all’Inter Zanetti e Cordoba ("avevo segnalato anche Samuel e Dacourt, che però sono arrivati cinque anni dopo"). Angelillo dice che aver rimpianti adesso non avrebbe senso. Ma uno ce l’ha. "Nel '57 in coppa America avevamo battuto 3-0 il Brasile che l’anno dopo avrebbe vinto i mondiali in Svezia. Allora chi andava all’estero non poteva giocare con la propria nazionale: così io, Sivori e Maschio non abbiamo giocato in Svezia e l’Argentina venne eliminata al primo turno. Oggi chi gioca all’estero si sobbarca a tante oro di volo per giocare con la propria Nazionale. È proprio cambiato tutto". Chissà se con gli angeli della faccia sporca in campo cambiava anche la storia di quel mondiale, quello di Pelè. Giuseppe Bagnati
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