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Speciale - Giovanni Galeone - Repubblica 27.01.1987
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da LA REPUBBLICA, 27/1/1987
La mia lotta alla normalità
di CORRADO SANNUCCI
 
Galeone, l' ultimo uomo "contro" Ha preso in mano il Pescara senza soldi e senza giocatori e l' ha portato a lottare per la serie A. Ora dice: "Ho fiducia nell' essere, voglio che i giocatori in campo tirino fuori la pazzia. Ogni anno retrocedono decine di squadre che giocano a uomo, ma fa notizia solamente quella che gioca a zona. Nel calcio siamo sommersi dai modi di dire. Siamo ancora in tempo a leggere Che Guevara. Credo ancora nel valore formativo dello sport, ma il calciatore italiano è un pressappochista nato. Io continuo a leggere Brecht, chissà se qualcuno s' accorgerà di me..."
Ha trattato il Pescara come un Lazzaro, si è seduto di fronte alla sua tomba e l' ha fatto rivivere; la società era allo sbando, retrocessa in C1, oppressa dai debiti, con una media di spettatori di 2000 a partita. Giovanni Galeone era senza contratto, gli avevano soffiato il posto a Ferrara, dove aveva fatto giocare bene la Spal per tre anni, e non aveva uno straccio di offerta. Chiamato dal presidente del Pescara, è partito per il ritiro con undici giocatori, tra i quali tre portieri. "Sono venuto qui e ho trovato una situazione allucinante. Stipendi oltre i 400 milioni, tutti a spendere soldi che non c' erano, la città incattivita". Ora a lamentarsi sono gli impiegati della società che non hanno più biglietti omaggio per le partite; venduti tutti i titolari la società cominciò la politica del rigore. A Galeone rimase in mano un gruppo di ragazzi con i quali affrontare la B grazie al ripescaggio di agosto della Caf; il risultato è stato una squadra che fa la zona pura, diverte, lotta per la A e il suo allenatore diventare, insieme a Sacchi, la nouvelle vague della panchina. La città intanto gongola, trascorre le domeniche dedicandosi equamente alle palombelle di Estiarte e alle prodezze della ciurma di Galeone. "Ho fiducia nell' essere. Cerco di lasciare l' iniziativa ai giocatori, di far prendere loro le decisioni. Odio il normale, voglio che facciano uscir l' estro, che giochino in un collettivo ma che tirino fuori la pazzia individuale. Quando gli faccio fare la zona io li libero. Voglio che in casa, sullo 0-1, un giocatore tenti una genialità e casomai sbagli e si prenda i fischi, e un minuto dopo ci riprovi. Ma deve assumersi le sue responsabilità: facendo il normale l' avversario avrà sempre la meglio. Rischiare non è facile, è una cosa mentale, tecnicamente questi ragazzi sono in grado di fare tutto. C' è una scena nel Caligola di Camus: l' imperatore, ripresosi da una malattia, fa uccidere un senatore che aveva detto che avrebbe dato la vita pur di vederlo guarire. Questo tipo di logica sembra presiedere a tante storie del nostro ambiente, il dare sempre la colpa all' arbitro, le interviste che cominciano con il "Diciamo che" il "non avere gli uomini adatti per...", la retorica del "mettila al centro". Mi rifiuto di pensare che un calciatore come Brio, per esempio, non sia in grado di eseguire qualsiasi schema che gli si propone". "Ogni anno retrocedono 150 squadre che marcano a uomo e 1 che fa la zona e solo questa fa notizia. Nel calcio siamo sommersi dai modi di dire. Un sistema poi per non affermare nulla e allo stesso tempo per cercare di scrollarsi le responsabilità; il che implica la tentazione di tutti di giocare al sotterfugio, di salvarsi e intanto di fregarti. Dobbiamo fare qualcosa, siamo ancora in tempo a leggere Che Guevara. Quello che manca al settore giovanile è l' educazione dei ragazzi, è incredibile, per esempio, le reazioni contro la panchina in caso di sostituzione. Si può giocare bene o male, è nelle regole, il cambio non dev' essere un dramma, guardate il basket. Anche Picasso ha 00 dipinto dei brutti quadri. Quando allenavo la giovanile dell' Udinese, e avevo gente come Miano, De Agostini, li avevo abituati a uscire anche subito. I ragazzi tornavano in panchina sorridendo, casomai dopo 20 minuti, e mi dicevano "Ha visto mister? Oggi non ne acchiappavo neanche una!",. I ragazzi sono oppressi da responsabilità che in altri sport non ci sono, l' esito è questa unione di immaturità e di tensione, di professionismo di paura. Si vergognano a fare i fondamentali, fanno d due corse e hanno la tendinite; non sono mai naturali. Noi abbiamo avuto una giovinezza diversa, passavamo il tempo a scavalcare muretti, a salire sugli alberi, a stare in giro tutto il giorno; andavamo a rubare, ma eravamo degli atleti della strada. Ho passato la mia infanzia a Trieste, mio padre era un funzionario dell' Ilva e io avevo una famiglia borghese alle spalle ma volevo stare con gli altri ragazzi, fare quello che facevano loro. Passavamo i pomeriggi a segare una rotaia, poi la caricavamo su un carretto costruito rubando i cuscinetti a sfera e andavamo a vendere il ferro. I soldi servivano per comprare cose in comune, mentine, palloni. Erano quelli vecchi, con la camera d' aria con il beccuccio, eravamo dei maestri a ricucirli quando si rompevano, con la valvola divenne quasi impossibile, perchè non si riusciva a fare la cucitura dal di dentro. Abitavamo vicino alla Risiera di San Sabba, allora non si sapeva che era stato un lager. Ci andavamo in bicicletta, stringevamo le clips, la strada era in salita, vedevamo le ciminiere, era con noi Guido de Santis, un gregario di Coppi. Vedevamo partire per l' Australia le navi con gli emigranti, al parapetto a salutare, il porto non serviva a nient' altro e non c' era più lavoro. Dagli acquedotti caduti per i bombardamenti tiravamo fuori i bulloni, disinnescavamo le bombe a mano e prendevamo il rocchetto di rame del detonatore". "Noi ragazzi avevamo aiutato a fare il campo dell' Ilva, i camion avevano portato il carbone per il fondo del campo, ma la notte venivano le donne e prendevano i pezzi più grandi, per usarli nelle stufe. Quando poi sono cresciuto, e a 16 anni ero già via di casa, al Monza, questa vita l' ho ritrovata nei romanzi di Camus, nelle storie degli esistenzialisti, nelle canzoni di Brel: e se la barriera davanti alla punizione fosse "Il muro" di Sartre? A Trieste, nei primi anni ' 50, andavamo a vedere Nuciari e gli altri, ma poi cominciai a giocare nella Ponziana, la squadra che sarà di Cudicini e Ferrini, che aveva fatto anche dei campionati nella A jugoslava; e quelli della Ponziana sono nemici mortali della Triestina. Ero affascinato da "Lo straniero' , di Camus, quando confessa al processo che quando aveva un grande dolore doveva dormire. Capita così anche a me. Di quell' infanzia porto un desiderio di libertà, di usare la fantasia, di non imporre nulla di programmato. "Oggi tutti non fanno che parlare di tattica, la zona, la zona-mista, a uomo, il che non vuol dire niente, se fosse la zona a sè a far vincere la userebbero tutti. Per mettere giù una squadra ci vogliono cinque minuti, non di più. Ma se io ho Ciarlantini e la Juve ha Cabrini ecco la differenza: noi giochiamo bene ma loro sono più bravi. Il calcio è solo tecnica, amore per i piccoli particolari; sono quelli che ti permettono alla fine dello schema che la palla ti giunga utile per giocarla. Bisogna insegnare come passare, in quale modo toccarla perchè non scappi e si fermi; essere innamorati di questo studio come lo sono i brasiliani. A Udine Zico passava le ore a provare le punizioni; il suo calcio non era un morbido lift, la palla sarebbe andata lenta e prevedibile, ma una frustata data con gli adduttori e gli addominali, che non dava tempo al portiere. Guardate il terzino e l' ala brasiliani come si studiano uno di fronte all' altro: il terzino non interviene, rispetta l' altro e la sua tecnica, il suo frullare della gambe. Tutto è molto lucido. Il calciatore italiano è un pressapochista nato, invece dovrebbe imparare a essere attento a tutto, e dare la palla al compagno mancino in un modo e a quello destro in un altro. La materia fondamentale è la lettura del pallone. Anche perchè i giocatori non è che leggano molto altro. Non ne hanno il tempo, si sposano presto, hanno subito gravi problemi del vivere quotidiano. Credo sempre nel valore formativo dello sport, anche a me ha dato la conoscenza, ma io ero più curioso, mi sono letto tutto Brecht, mi piace l' intelligenza, invidio quelli che "sanno", quelli coscienti delle loro capacità. Lo sport è una parte diversa della cultura, è l' emozione stessa, la varietà e l' imprevedibilità delle situazioni. Io non sono ancora soddisfatto, avevo qualcosa da dare e non so se riuscirò a esprimerlo. Ho qualche idea ancora e la voglio serbare per la grande occasione, se arriverà. Chissà se si accorgeranno di me, di uno che continua a scavalcare i muretti. A tutt' oggi non ho avuto neanche mezza proposta, neanche dal Pescara".
 
Una favola di provincia
di GIANNI MURA 
La situazione era molto chiara: con i resti di una squadra retrocessa non si poteva che retrocedere. Infatti, tutto il contrario: il Pescara ha più di un piede in serie A e le spiegazioni sono difficilissime. Molto dipende da Giovanni Galeone, che quando parla del suo lavoro tira in ballo Brecht, Camus, Pavese, Guevara e stavolta anche St. Exupery, così la faccenda si complica ulteriormente. E' nato a Napoli e parla friulano, ha una faccia che fa rima con avventura, pri ma però che l' avventura ce la facessero scoprire le marche di sigarette; è abbronzato, disponibile, polemico e ironico quanto basta, uno così è nato con la vocazione dell' incendiario e non del pompiere. Ma uno così forse ha vibrazioni da rabdomante. Chi glielo faceva fare di accettare 60 milioni l' anno, cifra che nel calcio è considerata ridicola, per gestire una retrocessione annunciata? E perchè poi questa squadra con pochissime lire e pochi giocatori di qualità a due domeniche dalla fine è in serie A e spero tenga, così ci divertiamo un po' ? Arrivo a Pescara e trovo acque abbastanza agitate. In giro c' è il gioco di parole di Galeone contro Panfilo (De Leonardis) cioè il presidente. Dopo la vittoria col Bologna, domenica, Galeone ha piantato tutti e se ne è andato in spiaggia, dove praticamente vive. Si sentiva sottovalutato, voleva parlare di contratto (e intanto a Messina gli offrono mezzo miliardo per due anni), qualcosa di buono aveva pur combinato, per chè non glielo riconoscevano? La situazione si sta ricomponendo, è nell' interesse comune. "Galeone ogni tanto va a fare la punta agli spilli", dice Franco Manni, il direttore generale, "ma a Pescara nessuno ce l' ha con lui. Si dimentica forse che qui ce l' ho voluto io? E le spiego perchè. Lui allenava la Spal quando io ero alla Reggiana. Nelle prime cinque partite fece un punto, lo cacciarono, arrivò Danova, ma poi i giocatori pretesero il ritorno di Galeone. Conoscendo la mentalità dei giocatori, che non stanno mai dalla parte dei silurati, pensai che questo Galeone doveva avere dei numeri e del resto le sue squadre potevano vincere o perdere ma in comune avevano sempre il bel gioco. Ecco perchè è stato scelto. Qui abbiamo vissuto un' estate da infarto: retrocessi sul campo all' ultima domenica, ripescati per il calcio scommesse, poi rispediti in C, e infine ammessi alla serie B il giovedì precedente l' inizio del campionato, quando sui calendari della Lega c' era stampata una x". Con uno scoperto di dieci miliardi, per di più, quindi impossibilitati a comprare e costretti a vendere: Roselli, Carrara, Acerbis, De Martino (dal Brescia arrivano Bressan e Gaudenzi), fatto fuori il portiere Rossi (scommesse), non confermati Olivotto, Di Cicco e Venturini. Di buono cosa rimaneva: Rebonato, Ciarlantini, Loseto, Gasperini, Bosco e Pagano. E' una squadra da C1. "Il nostro programma - continua Manni - era: pane e sangue. E a Galeone l' ho detto subito chiaro: mister non venga poi a lamentarsi che le manca un terzino o una punta o un libero, qui manca quasi tutto, lo sappiamo, c' è solo da arrangiarsi. Per conto mio, riconosciuti tutti i meriti alla squadra, siamo stati favoriti dalla penalizzazione di tre squadre, quindi bastava far meglio di una e restavamo in B. Così siamo partiti con una certa tranquillità, cosa importante in una squadra giovane, e siamo cresciuti per strada". C'è del vero, ma il campionato del Pescara continua a mantenere i contorni di una favola che si sfrangia in ulteriori favole. Come quella del portiere Gatta (classe '67) a luglio riserva della squadra primavera, che pur di giocare chiede di essere ceduto alla Pennese (Interregionale) e adesso è titolare della Under 21. Come quella di Rebonato, bomber frustrato che adesso tutti vogliono, Samp e Torino in prima fila, si tratta attorno ai cinque miliardi. Ma Galeone non crede alle favole. Prima si mangia, piuttosto bene, poi ci si scanna a scopa, seduti sul muretto del lungomare, poi si parla, a quell'ora né scura né chiara, in cui normalmente non si fanno interviste ma si dorme e forse per questo c' è più verità nelle parole. "All' inizio, in ritiro eravamo in 13, con due portieri. Ho subito chiesto di fissare il premio-promozione e qualcuno in società deve aver pensato che ero pazzo, non sarebbe la prima volta. Se sono qui per gestire una ritirata, tolgo il disturbo, ho detto. Tra parentesi, sento dire in giro che il premio-promozione per i giocatori, da dividere in 17, sia di 100 milioni. L' anno scorso, per salvarsi, era di 300. Queste sono cose strane, non il nostro campionato. Certo, gente sconosciuta, allenatore che parla troppo, niente lire: ma tanta rabbia e una grande disponibilità all' apprendimento. Sa qual è il segreto del Pescara? Che non c' è un solo giocatore coglione, forse uno al massimo, ma innocuo. All' inizio ci sono stati subito scontri. I giocatori dicevano che la società non li aveva assistiti, l' allenatore non li aveva capiti, il pubblico non li aveva seguiti. Stop, ho detto, solo questo vi meritate, siete giocatori di serie C, ma se ci diamo una mossa non è troppo tardi. No, il segreto non è la zona, anche se a me piace. Per la verità, avevo deciso di giocare a uomo, ma mi sono accorto subito che con questi giocatori era una sciagura nazionale. Così ho scelto la zona: dieci minuti per spiegarla, due settimane per impararla e via. Il calcio è semplice, io non credo al mito dello spogliatoio, che serve solo a cambiarsi i calzini, ma alla realtà del campo. Un giocatore non si costruisce, si scopre. Penso di avere un dono, sono veloce a inquadrare tecnicamente un giocatore. Anche perchè ero un bel giocatore, pur non avendo mai giocato in serie A. Senta questa: Albertosi, Tomasini, Trebbi, Bolchi, Salvadore, Galeone...". Cosa sarebbe? "Cos' era. La Nazionale juniores ' 58-' 59, allenata da Giovannino Ferrari, quella che doveva diventare l' Olimpica di Roma. Cera, Rosato, Facchetti, erano riservacce, mi creda. E sa di cosa sono più fiero? Del cambiamento di Loseto. Sono arrivato a Pescara che il passaggio più lungo di Loseto era a due metri. Adesso lo chiamano professore. Gli ho semplicemente aperto il cervello. In Italia il guaio è che si tende a limitare il giocatore, che già si limita di suo. Ma lo sente come sono innaturali quando parlano? Cominciano sempre il discorso con Diciamo che... Ma a Pescara no, entravo duro già in ritiro. Diciamo un cavolo, quanti siete? Parla come mangi. Ma io in queste situazioni improvviso, non ho dialoghi da dettare, sono piuttosto d' accordo col vietato vietare. Per esempio, penso ai cappuccini di Sacchi e prevedo che a Milanello ci sarà una corsa a chi ne beve di più, di nascosto. Sacchi lo apprezzo, ma penso che la sua zona penalizzi troppo le punte. Qui Rebonato fa tanti gol perchè non fa movimenti pendolari in orizzontale ma solo in verticale. Quelli che stimo di più in assoluto sono Coutinho, Ivic, Eriksson e Lobanovski. E adesso non mi chieda cosa hanno vinto. Qualcosa sì, ma non vuol dire niente. Bilardo ha vinto il Mundial e da lui non c' è proprio niente da imparare, lo zero assoluto. Sa chi è il miglior tecnico italiano per me? Bozzano, giovanili del Modena. Ma quanti lo conoscono? E lui come fa a farsi conoscere? In serie A ci si arriva per caso, o per una serie di circostanze favorevoli, e c' è poco ricambio. Una volta lì, si dimostra quel che si vale. Per questo mi piacerebbe allenare in A, dopo Udine, Pordenone, Adria, Cremona, San Giovanni Valdarno, ancora Udine, Ferrara e Pescara". Si parla di calciatori stranieri: "In assoluto il più intelligente che ho conosciuto è Surjak. Attualmente mi piacciono Skoro e Martin Vasquez; in sottordine Quique Setien e Sigurvinsson, che chissà dove è finito. Ma per me il massimo è Laudrup". Davvero? E perchè? "Nessuno in Europa è come lui, ma non gli hanno ancora insegnato a giocare al calcio. Io lo vedo come può essere se ci lavoro sopra. Insisto a dire che in Italia il livello tecnico è scarso ma non sono scarsi i giocatori, soltanto limitati nei compiti. Certo che per allargare il loro limiti un allenatore deve avere prima allargato i suoi, è qui che il discorso diventa spesso". "Ti ha detto che in questo campionato si è già dimesso dieci volte?" gli chiede un simpatico collega pescarese con baffoni messicani. "Per l' esattezza, solo sei" puntualizza Galeone. C'è aria da zingarate e voglia di caffè. Vediamo come va a finire o a incominciare. Galeone è più incuriosito che teso. Conclude: "Mia moglie insegna lettere e uno stipendio è assicurato, ho una casa in Sardegna, non sono ancora riuscito a dilapidare i risparmi di mio padre, c' è tanta gente che sta peggio di me e comunque sono le cose che non ci conoscono a far paura, io il calcio lo conosco bene e ci dormo sopra". Sarebbe ora. 

 

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