blog su sito caramelle a mente del 27/01/2004 Giovanni Galeone, allenatore senza pallone.
Il calcio non è più quello di un tempo. Sembra un luogo comune ma è così. Oggi assistere a certi incontri di calcio significa sbadigliare per tutto il tempo, il festival dei tatticismi, una sorta di guerra di posizione che si gioca al centro del campo, luogo nevralgico dove spesso si decidono e vincono le partite. Rifletto su questo, sbadigliando e sorridendo, mentre leggo un'intervista a Giovanni Galeone, allenatore di calcio disoccupato.
- Mr. Galeone ma se si fosse trovato al posto di Zoff, messo alla berlina da Berlusconi il giorno dopo aver perso la finale al campionato europeo contro la Francia, lei si sarebbe dimesso o cosa? - Avrei mandato affanculo Berlusconi! - Cosa? - Ha capito benissimo, lo scriva, avrei mandato affanculo Berlusconi!
Questo è Giovanni Galeone, uno che le cose non te le manda a dire. Schietto, scomodo. Senza peli sulla lingua. Da giovane - dicevano - era tutto genio e sregolatezza, disciplina zero.
Uno che nell'intervallo tra il primo e il secondo tempo magari si accendeva una sigaretta e buttava il te' caldo nel cesso. Poi, una volta appese le scarpette al chiodo, ha iniziato ad allenare. Per lo più squadre di provincia, per lo più il Pescara. Lui zingaro del calcio e un po' bohemienne ha scelto Pescara per fare il mestiere dell'allenatore e Pescara ha scelto lui. Non una volta ma quattro o cinque. Pescara è come una bella donna - dice - una donna che ami allo sprofondo, e nella vita non ci si innamora mai troppe volte, di solito una. Lo cercavano altre squadre e lui nicchiava, lo cercava il Pescara e lui ci andava anche a piedi. Non era una questione di soldi, lui finiva per accordarsi sempre e comunque. E si portava i suoi giocatori, alcuni avevano pance di birra, scarti di altre squadre, disoccupati, con un pizzico di follia nei piedi. 'Fanculo gli schemi e gli appunti sulle lavagnette di bachelite a disegnare verticalizzazioni e moduli. La zona, ad esempio, la zona è poesia, è un'orchestra che suona in piedi, una banda musicale, un crescendo Rossiniano. Poi ci sono quelli che prendono il pallone a metà campo e si bevono tutti e va bene anche così perchè il calcio è fantasia, non muscoli, non potenza, non pasticche colorate. Una volta gli chiesero di affiancargli un preparatore atletico. Lui rispose picche. Poi lo convinsero ma lui fece un patto: il preparatore avrebbe iniziato il suo lavoro nel momento in cui lui finiva il suo. Uno finisce, l'altro inzia. E' facile in fondo. Pescara e il calcio, forse, una questione di chimica tra poesia e mare.
- E se fosse stato l'allenatore dell'Inter dove avrebbe fatto giocare Recoba? - A Montevideo, o nel Lecce, o nella Reggina, o nei giardinetti, lo scriva. - Ma Recoba è un fuoriclasse! - E io sono l'allenatore e quindi decido io.
Ora Galeone fa parte della famiglia dei disoccupati del calcio. E' un mondo che dimentica troppo in fretta. Dagli scudi alla polvere ci vuole un lampo, una mano di tressette nel bar dello sport a Pescara, con la sigaretta mezza spenta tra le labbre ruvide. Molti ricordano gli eccessi di quell'uomo capace di vincere un campionato cadetto con una banda di legionari e l'anno dopo retrocedere perdendo tutte le partite senza fare una piega. Qualcuno forse si ricorderà di lui, fra un anno o una vita, lui aspetta una chiamata; dal Milan no, fino a quando ci sarà quella dirigenza non credo che avrò molte occasioni per allenare i rossoneri, dice.
Ride e tossisce. Ma se lo chiamasse il Pescara lui indosserebbe il loden verde, sempre lo stesso per scaramanzia, si accenderebbe una sigaretta e con voce roca direbbe: "Dunque, dove eravamo rimasti?"
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