Storia - IL BAGNO PENALE BORBONICO Ancora oggi le mura del bagno penale borbonico sono visibili a chi, arrivando dall'autostrada, si sporga dalla spalletta del lungo viadotto che sovrasta la zona sud del fiume Pescara. Situato sulla sponda destra, s'affaccia sull'omonima via, nella parte più vecchia di Pescara. Vi furono rinchiusi (e vi morirono) anche numerosi compagni di Pisacane. Interessante e impressionante la relazione che un giovane medico dell'ufficio sanitario di Chieti preparò per il barone De Rolland, prefetto della provincia di Abruzzo Citeriore (Chieti), da cui dipendeva Pescara. L'ispezione avvenne verso la fine del 1865, perchè dal 13 settembre nel bagno penale era scoppiata un'epidemia di colera. Cominciamo con la descrizione che il medico Giovanni Pierantoni fa della struttura carceraria: "La sua lunghezza totale è di metri 158, da cui bisogna detrarre metri 38, i quali quantunque compresi nello stesso fabbricato, formano la dimora de' secondini e le celle di punizione. Misurate altezza e larghezza Pierantoni così conclude:" [...] 3716 metri cubici è tutto lo spazio in cui è costretta a vivere una massa di trecento uomini. Sicchè fissando a dugentocinquanta la cifra media dei reclusi in quella galera, ciascuno dispone d'un volume d'aria di circa 15 metri cubici, il quale deve bastare a tutti i bisogni della respirazione dalla sera alla vegnente dimane; e tenendo conto dell'acido carbonico espirato, che si forma dalla combustione delle lampade notturne, della evaporazione de' prodotti di secrezione cutanea e delle potentissime emanazioni che svolgono dagli escrementi raccolti entro i dormitori, ne risulta tale un'atmosfera che inocula a stille un veleno di morte. Pierantoni analizza poi la situazione igienica e qui il tono si fa ancora pi— drammatico. Ricordato che la città è totalmente sprovvista di pozzi neri e che al fiume <corrispondono tutte le latrine di Pescara< il giovane medico osserva che <il Bagno Borbonico guarda la sponda destra del Pescara e vi si apre con sedici luci le quali, garantite tutte da spesse sbarre di ferro, in doppio ordine disposte, mancano di solide imposte: possono però chiudersi, ove si voglia, da mobili intelate che certamente non bastano ,a preservare da' rigori del freddo, e dalla notturna umidità. Questa poi, penetrata entro la Carcere e non essendo assorbita per la qualità del suolo che è fatto tutto di durissima lava del nostro Vesuvio, vi rimane stanziale e forma uno strato di molle e lucida melma. Ci sono poi i problemi dell'acqua e dell'aria. Pierantoni nella sua relazione è evidentemente mosso a compassione: <L'acqua del fiume, perchè si renda potabile, conviene che sia raccolta almeno ventiquattr'ore avanti di beverla e sia decantata in appositi recipienti, onde si depuri di tutte le materie estranee che contiene in sospensione: tale è la lodevole e generale costumanza che si tiene da' naturali del paese. Ebbene, i soli detenuti, contrariamente ad ogni legge sanitaria, sono costretti a bere di quell'acqua, così sudicia e fangosa che dal fiume si attinge [...]. A quegli infelici delinquenti, per eccesso di bugiardo zelo, o per esagerati timori, non si accorda il conforto di respirare almeno un'ora di aria pura delle aperte corti contigue, che tre o quattro volte in tutto il corso di un mese. La conclusione non può essere che una: per queste <influenze morbose: ingombro di dugento e più persone, dimora malsana, alimentazione scarsa e fatta esclusivamente di cibi fecolacei, uso quotidiano di acqua melmosa, poca o nessuna cura della nettezza individuale il Bagno è un centro perenne d'infezione, una minaccia continua di morbi epidemici". E anche in seguito alla relazione di Giovanni Pierantoni - come ricorderà molti anni dopo lo scrittore Ennio Flaiano - che Pescara, in una vecchia guida del 1869, viene indicata come <ex fortezza borbonica, zona malarica, consigliato non fermarsi>. La città borbonica doveva aspettare ancora molto per divenire il moderno polo industriale odierno.
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